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Il Parlamento digitale, pro e contro

by redazione
in Politica
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Il Parlamento digitale, pro e contro
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Intervista a Francesca Rosa, professore associato in diritto pubblico comparato all’Università di Foggia

Professoressa Francesca Rosa, si fa strada fra alcune forze politiche e anche fra alcuni costituzionalisti l’idea del cosiddetto “Parlamento digitale”, ovvero il tema del voto a distanza dei parlamentari e delle sedute in videoconferenza delle Camere. Qual è la sua opinione?

E’ naturale interrogarsi oggi sulla possibilità che anche il Parlamento possa lavorare da remoto, almeno in parte. I costituzionalisti che per primi hanno formulato questa ipotesi lo hanno fatto nell’ottica di garantire una piena funzionalità del Parlamento al tempo del coronavirus: e credo che questo obiettivo sia condiviso da buona parte degli studiosi, nonostante la divergenza di opinioni, e dalla classe politica. L’emergenza sanitaria ha reso necessario uno straordinario intervento del governo a più livelli dell’azione pubblica. A questo attivismo dell’esecutivo ha corrisposto un rallentamento dell’attività parlamentare.

E’ un rallentamento giustificato?

Il rallentamento è comprensibile per un organo come il Parlamento. Pensiamo alla numerosità dei membri delle Camere e alla ampiezza delle strutture serventi il Parlamento. I soli numeri rendono necessario un ripensamento dell’accesso alle strutture e delle modalità di lavoro quotidiane che rispettino le distanze di sicurezza e il divieto di assembramenti. D’altro canto, proprio in ragione dell’emergenza in corso e delle straordinarie misure adottate per affrontarla, è necessario che il Parlamento sia operativo e vigile. In questo quadro ritengo che l’apertura al Parlamento digitale vada fatta con grande cautela e limitatamente ad alcune sedi e attività.

Quali?

Escluderei l’ipotesi che l’Assemblea possa lavorare da remoto, mentre credo che limitate aperture possano esserci, come del resto è avvenuto a partire dalla riunione della giunta per il regolamento della Camera dei deputati del 31 marzo, per le sedi decentrate. Escluderei il voto da remoto e ammetterei la possibilità di svolgere da remoto le attività conoscitive.

Il tema è stato sollevato in questi giorni e vuole essere una risposta per far funzionare il Parlamento ‘normalmente’ anche in questa fase emergenziale causata dal Covid 19. Sarebbe una risposta costituzionalmente legittima?

Il vincolo costituzionale più stringente alla possibilità che il Parlamento possa funzionare da remoto risiede nell’articolo 64 terzo comma della costituzione, ai sensi del quale le deliberazioni delle Camere non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti. Questa previsione costituzionale trova attuazione nei regolamenti parlamentari in una serie di previsioni che presuppongono la presenza fisica di deputati e senatori nelle sedi delle Camere ai fini dell’esercizio delle funzioni legate al mandato parlamentare. I regolamenti parlamentari potrebbero interpretare diversamente la presenza cui fa riferimento la costituzione, ma a questo fine sarebbe necessaria una modifica regolamentare.

Lei è docente di diritto pubblico comparato. Esistono in altri Paesi esperienze analoghe di Parlamento digitale? Che risultati hanno dato?

Guardando ad alcuni Parlamenti vicini, mi pare siano tre le scelte comuni: la limitazione o la regolazione nell’accesso alle sedi del Parlamento, la concentrazione dell’attività legislativa sui provvedimenti adottati per contrastare la pandemia, che spesso ha visto il ricorso a procedure d’urgenza, e la continuità del controllo sull’operato del Governo. L’Italia è in linea con questa evoluzione. Ha rallentato i lavori parlamentari senza mai fermarli, si è occupata della conversione dei decreti-legge adottati dal Governo e ha proseguito l’attività del sindacato ispettivo con le informative urgenti e il question time.

E per quanto riguarda il lavoro da remoto dei parlamentari?

Per quanto concerne il lavoro da remoto il quadro è più frammentato perché legato alle specificità regolamentari delle singole Assemblee. Nel Regno Unito, con l’obiettivo di garantire la continuità della funzione di controllo sul Governo è stata autorizzata, in deroga alla regola della presenza fisica dei parlamentari, la riunione da remoto delle commissioni permanenti. D’altro canto è bene precisare che in questo ordinamento le commissioni permanenti sono impegnate nel controllo sul Governo e non nell’attività legislativa, con la conseguenza che le deliberazioni hanno un ruolo molto marginale nell’economia dell’attività svolta, che è prevalentemente conoscitiva.

E negli altri Paesi?

In Francia è stato utilizzato il voto per delega, che è già previsto dal regolamento dell’Assemblea nazionale. In Germania nel Bundestag si è fatto ricorso alla possibilità di abbassare al 25% dei presenti il quorum strutturale delle sedute per consentirne la validità anche in presenza di una partecipazione a ranghi ridotti dei deputati. In Spagna, infine, è stato ammesso il voto da remoto, che è però radicato nell’articolo 82 del regolamento del Congresso dei deputati.

E il Parlamento europeo?

Il Parlamento europeo ha ammesso il voto a distanza tramite mail, ma questo è un Parlamento in cui gran parte dei membri si trovano oggi nella assoluta impossibilità di raggiungere fisicamente Strasburgo.

In definitiva, che conclusione si può trarre?

Mi pare che l’introduzione del voto a distanza sia stata una risorsa per gli ordinamenti che già lo contemplano. Mentre lo strumento digitale è utilizzato per facilitare i lavori parlamentari in un frangente in cui gli spostamenti sono limitati e gli assembramenti vietati. Da questo quadro comparativo concluderei che i Parlamenti hanno cercato di ottimizzare le risorse già presenti nei regolamenti parlamentari per gestire al meglio l’emergenza.

Non c’è il rischio che il voto a distanza possa costituire il “cavallo di Troia” per scardinare il parlamentarismo, per come lo abbiamo conosciuto, e virare verso diverse forme di democrazia?

Il voto da remoto è uno strumento del quale vanno attentamente valutate le conseguenze sull’attività parlamentare complessiva e sulla democrazia rappresentativa. E’ una modifica potenzialmente in grado di incidere su tutte le procedure parlamentari e sul rapporto tra parlamentari e cittadini. Può prestare il fianco all’idea – illusoria e sbagliata – che la tecnologia possa fornirci i mezzi per attivare una democrazia diretta e simbolicamente reca con sé il rischio di offrire una lettura riduttiva del lavoro dei parlamentari, che non coincide solo con il voto e con la deliberazione.

Tags: CoronavirusCovid19Parlamento digitaleVoto a distanza
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