Dopo l’entrata in vigore lo scorso 28 agosto della legge 124/2015 che delega il governo al riordino degli enti camerali, in diverse regioni le Camere di Commercio hanno già avviato una sorta di autoriforma in relazione agli accorpamenti. Come cambieranno le Camere di Commercio in Italia?
Proprio in questi giorni, il sistema camerale è in attesa del decreto legislativo con cui il Governo definirà il nuovo assetto e le funzioni delle Camere di Commercio, in attuazione della delega contenuta nella L. n. 124/2015. Con la definitiva conferma del taglio del diritto annuale, pari al 50 % per il 2017, si verificherà una drastica riduzione delle risorse che le Camere investono ogni anno a beneficio del territorio ed, in particolare, delle realtà imprenditoriali più deboli. Le ultime bozze del decreto in circolazione si muovono nella direzione di eliminare le principali funzioni istituzionali, fra cui quella promozionale, quella di studi e ricerche, nonché il supporto all’internazionalizzazione, il sostegno all’innovazione ed il controllo di qualità sui prodotti. La riforma prevede, inoltre, il sostanziale dimezzamento del numero delle Camere, da 105 iniziali a non più di 60, da attuare mediante accorpamenti. Si tratta di un percorso che porterà ad una profonda riorganizzazione strutturale, peraltro già avviata autonomamente da circa trenta Camere su tutto il territorio nazionale. Va bene riformare, ma bisogna fare attenzione a non gettare via i risultati finora raggiunti. Occorre, dunque, una seria riflessione di sistema, su quella che sarà la nuova mission delle future Camere di Commercio.
Qual è lo stato di salute delle PMI italiane? Quali sono le esigenze primarie per una vera e stabile ripresa?
In base al “Rapporto Cerved sulle PMI 2015”, i dati più recenti mostrano segnali evidenti di ripresa. Il numero di piccole e medie imprese, che aveva subito una riduzione da 150 a 137 mila tra il 2007 e il 2013, nel 2014 è rimasto ai livelli dell’anno precedente. Anche il saldo di nati-mortalità delle imprese è tornato ad essere positivo nel 2014. Negli ultimi due anni, inoltre, il numero di PMI fallite, in procedura concorsuale o liquidate per volontà dell’imprenditore è diminuito sensibilmente. Senza dubbio, l’introduzione delle S.r.l. semplificate ha favorito l’aumento demografico d’impresa, con un incremento significativo delle nascite di società di capitale. Sono segnali incoraggianti, che vanno supportati da ulteriori misure finalizzate a facilitare l’accesso al credito per le PMI e per le microimprese, che costituiscono ben oltre il 95% delle imprese presenti sul territorio romano e nazionale. Serve mettere in campo misure efficaci, che sappiano fronteggiare i bisogni reali e le difficoltà delle imprese.
Tutte le imprese negli ultimi anni hanno sofferto la crisi. Alcune però hanno saputo reagire con maggiore efficacia di altre. Quali sono gli “ingredienti” anticrisi? Quali i punti di forza di queste aziende?
La crisi economica che ci stiamo lasciando alle spalle ha segnato l’intera economia del nostro Paese per quasi un decennio. Fortunatamente la ripresa è in atto, con dati positivi che lasciano ben sperare per il futuro. Fra le imprese che hanno resistito meglio, sicuramente vi sono quelle che hanno scelto di puntare sull’innovazione, sull’eccellenza dei propri prodotti e sul Made in Italy, ricercando sbocchi in mercati alternativi e di nicchia. Dobbiamo imparare ad essere più competitivi, continuando a fare quello che sappiamo fare bene.
In un mondo globalizzato e con frontiere spesso evanescenti la tutela del Made in Italy diventa una sfida sempre più ardua. Quali interventi si rendono necessari?
Il Made in Italy è il marchio di garanzia dell’eccellenza dei nostri prodotti fra i più noti e diffusi al mondo. Proprio per questo, ha bisogno di una tutela efficace contro i continui tentativi di contraffazione a danno delle nostre imprese. La sempre più crescente domanda di prodotti italiani, in particolar modo nel settore agroalimentare, sta generando una vera e propria economia parallela, che sottrae clientela e quote di mercato alle aziende del Paese. Tale fenomeno, denominato “Italian Sounding”, costituisce una tipica forma di concorrenza sleale, che rischia di danneggiare gli stessi consumatori. Per questo motivo, la tutela del marchio, da sola, non è sufficiente e va accompagnata da un’azione informativa che punti ad incrementare la consapevolezza del consumatore sull’autentica qualità dei prodotti italiani. Nell’ambito delle attività di promozione del marchio, la Camera di Commercio di Roma ha aderito al Progetto di Unioncamere e Google “Made in Italy, eccellenze in digitale”, per favorire la digitalizzazione dei territori a più elevata capacità di offerta di beni e servizi peculiari del luogo, con particolare riferimento ai settori di punta e alle filiere che caratterizzano l’immagine dell’Italia nel mondo.
L’e-commerce può costituire un volano per le aziende. L’Italia tuttavia è sotto la media europea per numero di imprese che investono nel digitale: solo il 4% a fronte del 15% della media UE. Come colmare questo ritardo?
Anche nell’ambito dell’e-commerce, serve implementare un sistema di finanziamento che agevoli l’accesso al credito da parte delle PMI, garantendo risposte certe al continuo fabbisogno di liquidità. Dobbiamo avere coraggio, valorizzando l’ingegno e le idee innovative, anche tramite un maggiore sostegno all’imprenditorialità giovanile e femminile. Il ritardo italiano nell’e-commerce può essere colmato solo grazie ad una strategia condivisa fra i principali protagonisti del settore, fra cui prevalgono le realtà di piccole e piccolissime dimensioni. È importante, cioè, che le imprese facciano network, per affrontare al meglio i processi di internazionalizzazione ed i mercati esteri.