Intervista alla professoressa Roberta Calvano, ordinario di Diritto costituzionale all’Università degli studi di Roma Unitelma Sapienza
Professoressa Calvano, ogni Regione si sta muovendo con più o meno autonomia nell’affrontare l’emergenza Covid-19. Alcune chiedono la fine anticipata del lockdown, altre minacciano di chiudere i propri confini regionali. La Costituzione lo consente?
L’emergenza in atto coinvolge un intreccio di materie che prevedono un intervento a vario titolo dei poteri dello Stato, nonché delle Regioni e degli enti locali. La Costituzione prevede innanzitutto che la profilassi internazionale rientri tra le materie di potestà esclusiva statale (art. 117.1, lett. q), mentre distribuisce la materia della sanità e quella della protezione civile tra Stato e Regioni, trattandosi in entrambi i casi di materie di competenza concorrente. Detto questo, fermi restando i poteri delle Regioni nei rispettivi ambiti territoriali nelle materie concorrenti, esse, in primis in ragione della necessità di un coordinamento unitario delle azioni di prevenzione del contagio su scala nazionale, oltre che del principio di leale cooperazione, devono rispettare i provvedimenti dettati a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza nazionale del 31 gennaio da parte del Consiglio dei ministri, e delimitare i propri interventi, in armonia con le azioni di contrasto alla pandemia adottate. Tuttavia, oltre all’attivazione dei poteri di ordinanza di protezione civile, in deroga alla legislazione vigente, previsti dalla relativa disciplina (d.lgs. 1/2018), vi è poi la legge istitutiva del Ssn (l. 833 del 1978) che prevede altrettanti poteri di ordinanza del ministro della Salute, dei presidenti delle Regioni, nonché dei sindaci, nei limiti delle rispettive aree di intervento.
Un quadro normativo complesso…
Questo quadro normativo chiaramente rende possibili sovrapposizioni e antinomie tra atti normativi, che probabilmente non facilitano la necessaria chiarezza delle prescrizioni, e la loro comprensione da parte dei cittadini. Sarebbe buona regola dunque, per tutti i livelli territoriali, sottostare nella propria produzione normativa alle disposizioni dettate dallo Stato nel quadro descritto, salvo situazioni del tutto peculiari di singole aree territoriali, e comunque dettate nella direzione di un innalzamento delle misure di tutela e non certo di una loro deroga, che sarebbe comunque da ritenere non consentita.
Sono ormai passati quasi venti anni dalla legge costituzionale 3/2001, sulle “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”, che ha cambiato profondamente i rapporti fra lo Stato e le Regioni. Che bilancio si può dare?
Si tratta di un bilancio che è impossibile tentare in poche battute e che richiederebbe una lunga rassegna della giurisprudenza costituzionale sull’infinito contenzioso Stato-Regioni degli anni 2000. Posso dire solo in questa sede che la giurisprudenza costituzionale sembra parlar chiaro da questo punto di vista, essendo stata la Corte chiamata ad intervenire a chiarire una pletora di dubbi interpretativi e problemi applicativi palesatisi a seguito dell’entrata in vigore della legge di revisione costituzionale del Titolo V. Da un diverso punto di vista, si deve ricordare come si sia trattato per di più di una riforma incompleta, nella quale la mancanza di una sede centrale di raccordo delle istanze provenienti dai diversi territori, cui di certo non riesce a supplire la conferenza Stato-Regioni, non ha facilitato il dialogo istituzionale tra le ragioni dell’unità e quelle dell’autonomia, le quali ultime dovrebbero essere strumenti che rafforzano la prima, garantendo una arricchimento della dimensione democratica dell’ordinamento, in linea col disegno dell’art. 5 della Costituzione.
I provvedimenti emergenziali del Governo hanno di fatto limitato l’esercizio di alcuni diritti e libertà costituzionalmente rilevanti, dalla libertà di ogni cittadino di poter circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale al diritto di riunirsi pacificamente. Fino a quando questi provvedimenti sono costituzionalmente e pienamente legittimi? A che condizioni il diritto alla salute prevale su tutti gli altri?
La cornice nella quale si giustifica la temporanea delimitazione dei diritti fondamentali della persona disposta in questa fase, che oltre agli art. 16 e 17, ha investito la libertà religiosa, di istruzione, di iniziativa economica, e probabilmente anche altre ad esse correlate, è individuata nella dichiarazione dello stato di emergenza che richiamavo poco fa. Si tratta di una finestra temporale di sei mesi, nell’ambito della quale la tutela della salute della collettività consente di adottare provvedimenti derogatori della legislazione vigente, e di compressione dei diritti fondamentali della persona, nei limiti dei principi di proporzionalità e adeguatezza. Naturalmente, nella variegata messe dei provvedimenti adottati, soprattutto da alcuni sindaci, e in verità anche da qualche Presidente di Regione, si può rinvenire in realtà qualche abuso, come ad esempio laddove si inverte il rapporto autorità-libertà, elencando i comportamenti consentiti, anziché indicare esclusivamente quelli vietati, così come laddove si istituiscono “visti” di entrata nel territorio regionale, per di più non ancorandone la concessione da parte della Regione ad alcun chiaro requisito, e non circoscrivendo entro una precisa scansione di termini temporali il procedimento di “concessione”. Si tratta tuttavia di fenomeni isolati, e non ritengo si assista nel complesso, come invece ho letto talvolta in questo periodo, ad una cancellazione o ad una sospensione di tali diritti, né ad una situazione di “stato di eccezione”.
I poteri che sono esercitati in questa fase si inseriscono in un quadro normativo e costituzionale ben preciso. Per questo, anche l’affermazione circolata in queste settimane, secondo cui nella Costituzione non sarebbe rinvenibile alcuna prescrizione normativa riferibile alla condizione di emergenza in cui ci troviamo, mi pare inesatta. Come spesso succede, si addebitano alla Costituzione italiana colpe che non ha, sulla base di una lettura poco attenta rispetto alle scelte molto precise in essa compiute, che trovano il proprio fondamento in vicende storiche importanti e in un ricco dibattito teorico che ha avuto poi nell’Assemblea Costituente il suo precipitato.
Il proliferare di task force di “tecnici” a supporto del decisore politico, in primis del Governo e in particolare per la cosiddetta “fase due”, non rischia di mortificare il ruolo del Parlamento? Eppure la Costituzione prevede un apposito organo di consulenza delle Camere e del Governo, il Cnel, il quale, oltre ad avere diritto di iniziativa legislativa, potrebbe contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale. Che ne pensa?
Il Cnel in questa come in altre circostanze è stato totalmente dimenticato temo, ma l’osservazione è correttissima: lì si trovano i rappresentanti delle diverse categorie produttive che avrebbero potuto offrire un contributo, col vantaggio di una mission ed un quadro istituzionale più chiaro. Dalla vicenda dei diversi comitati credo emerga come la tecnica, ancora una volta, – come già evidenziato cento anni fa nelle note pagine di Carl Schmitt -, venga tirata in ballo per tentare di “neutralizzare” la politicità delle scelte sulla cosa pubblica. Da questo punto di vista, se il Governo, nell’abusare di questi strumenti, sembra tradire una estrema debolezza (derivante dalle sue fragili fondamenta politiche), si deve tuttavia segnalare che sarà sempre lo stesso Governo, ineludibilmente, avvalendosi di dati, pareri e proposte elaborati da tali comitati, ad adottare le decisioni politiche circa l’emergenza e le sue varie fasi, ed assumerne poi la relativa responsabilità, davanti al Parlamento e alla Nazione. In secondo luogo, il Parlamento, se vuole recuperare una centralità, che oggi nei fatti pare quantomeno appannata, deve tornare a far sentire la sua voce, rivendicando il proprio ruolo di indirizzo e controllo, ma prima ancora di sede principale del dibattito politico e di determinazione della politica nazionale. Un ruolo questo che è attualmente occupato – ed è un dato sicuramente preoccupante – dai social network, ospitati su piattaforme digitali private, sottratte, è il caso di ricordarlo, ad ogni controllo pubblico, ad ogni regola democratica, oltre che all’imposizione tributaria statuale.